In un articolo pubblicato nella nostra area scientifica, di qualche settimana fa, abbiamo introdotto il discorso riguardante la relazione tra il calo dell’udito e il declino cognitivo.Proseguiamo oggi parlando delle connessioni tra suoni e pensieri.
Per comprendere un discorso in un ambiente rumoroso elementi come la memoria a breve termine, l’elaborazione centrale o le esperienze di vita sono più cruciali delle semplici capacità uditive, che influiscono solo per il 10 %.
Dunque in caso di deficit uditivo può manifestarsi una sorta di intreccio pericoloso, perché un calo uditivo può provocare modifiche strutturali e funzionali nel cervello, mentre il declino cognitivo correlato all’età può a sua volta peggiorare le capacità di ascolto favorendo l’ipoacusia.
Spiega Camillo Marra, neurologo dell’Università Cattolica di Roma e coautore assieme a Andrea Peracino della Fondazione Lorenzini di Milano, di uno studio relativo a questi aspetti dell’udito: «Il deficit dell’udito si associa a una riduzione del volume della corteccia cerebrale uditiva e a una diminuzione delle diramazioni dei neuroni, che quindi hanno più difficoltà a comunicare fra loro e a svolgere le loro funzioni. Inoltre i problemi di udito affaticano il cervello, perché aumentano l’impegno cognitivo necessario all’ascolto: si stima che un deficit uditivo possa incrementare del 24% il rischio di compromissione di concentrazione, memoria, capacità di pianificazione».

Le ipotesi secondo cui il calo dell’udito sarebbe legato a deficit cognitivi sono svariate: parliamo di ridotta stimolazione delle aree normalmente attivate dai suoni, che favorirebbe l’impoverimento cognitivo, oppure di affaticamento del cervello che non sente bene, che per compensare la perdita dell’udito utilizzerebbe reti neuronali accessorie riducendo le risorse disponibili per altri compiti.
È anche probabile che esistano cause comuni, ad esempio una patologia dei piccoli vasi cerebrali che favorisca la comparsa di alcune forme di demenza e di ipoacusia.
Il non sentire bene, aumenta il rischio di isolamento sociale, un fattore di rischio noto per i disturbi cognitivi.

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